Quando San Marino sfidò l’Italia… Con le Monete d’Oro
Nel 1895 il Titano provò davvero a battere moneta. Ma non finì bene. E oggi? Forse le Crypto sono la nostra seconda occasione.
Ma San Marino può battere moneta?
Di recente, su Oldest Republic, ho pubblicato un articolo che racconta la storia monetaria di San Marino. Durante le ricerche mi sono imbattuto in una storia che merita uno spazio tutto suo. Ma andiamo con ordine.
Per chi non lo sapesse, San Marino non può battere moneta (salvo tirature molto limitate a fini prevalentemente collezionistici e numismatici).
Questo perché usa l’Euro, e la Convenzione Monetaria firmata nel 2012 con l’Unione Europea vieta espressamente l’introduzione di una valuta alternativa. In più, l’articolo 128 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che solo l’Euro può avere corso legale nei Paesi che lo adottano.
Con un accordo di associazione all’UE all’orizzonte, sia chiaro: non è nell’interesse di nessun sammarinese fare infuriare Bruxelles parlando di una moneta nazionale. Ma un po’ di storia e qualche riflessione alternativa non fanno di certo male!
Una lunga dipendenza monetaria
Anche prima dell’Euro, San Marino non coniava moneta in autonomia. Il motivo va cercato negli accordi bilaterali con l’Italia, aggiornati nel tempo.
Eppure, tra le pieghe della storia, c’è un episodio che sembra un enorme dito medio sammarinese al Regno d’Italia. L’ho scoperto grazie a un bellissimo approfondimento di Roberto Ganganelli su Cronaca Numismatica. Riassumo i punti più gustosi.
L’oro del Titano (che non fu mai coniato)
L’idea
Nel 1895, San Marino - spinta da una crisi di bilancio causata dalla costruzione del nuovo Palazzo Pubblico (!) - approva un piano per coniare un milione di lire in monete d’oro e altrettante in argento. Il progetto viene discusso e votato. Un decreto ufficiale stabilisce tutto: quantità, titoli, incisioni, stemmi.
Insomma, una cosa seria.
La reazione dell’Italia
Appena Roma viene informata, succede l’irreparabile: il governo italiano “denuncia” la Convenzione del 1872, cioè la ritira unilateralmente. Francesco Crispi, allora Presidente del Consiglio italiano, lo fa di persona. Una mossa diplomatica pesante.
Le conseguenze
A San Marino non resta che piegarsi: nessuna moneta d’oro verrà mai coniata, e l’idea viene congelata per decenni. Arriveranno solo monete in argento nel 1898, per uso prevalentemente simbolico o collezionistico.
Ma oggi le cose sono cambiate
Ricapitolando: l’Italia non ha più voce in capitolo sulle monete sammarinesi.
E nemmeno l’Europa ci lascia troppa autonomia. La già citata Convenzione del 2012 e l’articolo 128 del TFUE parlano chiaro: niente “seconda moneta”.
Eppure, qualcosa è cambiato: siamo nel XXI secolo, e le criptovalute esistono.
I token non sono (ancora) moneta
I token su blockchain – per gli amici “crypto” – non sono considerati valuta legale. Sono bit, stringhe, asset digitali. Non sono coperti né dalla Convenzione Monetaria né da nessun trattato bilaterale. Almeno per ora.
Quindi, tecnicamente, oggi San Marino potrebbe esplorare l’idea di una valuta digitale alternativa, sotto forma di token. Non è solo teoria: fino a qualche anno fa, anche una stablecoin ancorata all’Euro, emessa interamente sul territorio sammarinese, sarebbe stata possibile. Nessun trattato lo vietava esplicitamente, e il vuoto normativo lasciava margini di manovra a chi avesse voluto sperimentare.
Ma non durerà a lungo
L’Unione Europea si sta muovendo velocemente per regolamentare il settore. Con il pacchetto MiCA (Markets in Crypto-Assets), l’era del far west crypto sta finendo. E con essa anche gli spazi grigi in cui forse San Marino avrebbe potuto muoversi.
Oggi, una stablecoin ancorata all’Euro richiederebbe autorizzazioni, requisiti patrimoniali e compliance stringente. In pratica, non è più una possibilità realistica senza un impianto regolatorio serio e riconosciuto.
Di certo, sarebbe stato fattibile nel 2019, quando trattai per la prima volta l’argomento in questo articolo.
Perché allora parlarne?
Non perché dobbiamo battere moneta per forza. E nemmeno perché sia una questione urgente.
Ma perché, per un microstato come San Marino, l’idea di emettere una valuta, anche solo digitale, è uno degli strumenti più affascinanti e simbolici di sovranità.
E dato che si tratta di un tema che mi ha sempre interessato - e su cui ho lavorato parecchio dal 2019 a oggi, anche a livello professionale nel mondo blockchain - è molto probabile che tornerò presto ad approfondirlo.
Non per spingere un’agenda o proporre soluzioni definitive. Ma perché, semplicemente, potrebbe rappresentare un’opportunità.
E in ogni caso, è un esercizio di immaginazione politica e autonomia economica che vale la pena fare.